Dai Tropici a Capo Horn

di Antonio Politano

La parola Cile, nella lingua degli indios Aymara, antico popolo andino, significa "là dove finisce la terra". Sembra uno slogan involontario per depliant turistici di fine secolo, ideale per attrarre amanti delle destinazioni limite. Eppure forse mai come in questo caso vale la categoria, spesso abusata, del mondo ai confini del mondo. Quanto meno in termini geografici. Il Cile è infatti una striscia di terra sottile, stretta tra il Pacifico e le Ande, larga in media 180 chilometri e lunga ben 4.300. Una "follia geografica, con la testa ai Tropici e i piedi al Polo Sud e, di conseguenza, un campionario unico di ambienti e suggestioni naturali: deserti di sale e fiordi ghiacciati, steppe ventose e vulcani innevati, mari tempestosi e isole sperdute. Spazi remoti, dove lo stereotipo del limite si fa realtà e lo spaesamento tanto caro ai viaggiatori di frontiera diventa possibile. In luoghi avvolti nel mito, il cui solo nome basta per evocare l'altrove, come Patagonia, Terra del Fuoco, Isola di Pasqua, Atacama, Ande, Pacifico. La parola Cile, nel linguaggio della politica internazionale invece, evocava fino a qualche tempo fa gli spettri della dittatura militare. Il golpe contro Allende, i diciasette anni di repressione spietata, gli oppositori desaparecidos. La democrazia È tornata nel 1990, ma il generale Pinochet È sempre lì: senatore a vita e ancora punto di riferimento per i settori più conservatori della società cilena. A intervalli quasi regolari si ode il rumore degli stivali dei carabineros, si levano le grida di chi attende giustizia per i crimini subiti, e viene da chiedersi se il Cile non sia tuttora una democrazia parzialmente sotto tutela. Eppure il Cile di oggi È considerato il Paese più ricco e stabile dell'America Latina, tanto da essere scelto da molte multinazionali come sede per i propri uffici continentali, con tassi di crescita record (7,2 per cento annuo) e una pace sociale invidiabile. Santiago è lo specchio del momento felice che vive il Cile, con interi quartieri nuovi che avanzano nella vallata. La capitale non è bella, ma è il cuore, un pò nordamericano, un pò andino, del Paese. È per questo motivo dovete fare visita a Santiago. Per avere un'idea di come vive un terzo dei quindici milioni di cileni - meticci, bianchi e indios - che la popolano, sotto la cordigliera che incombe sui grattacieli di Las Condes e le vecchie case bohemiennes di Bellavista. E passeggiate tra Pasco Ahumada e Plaza de Armas, accanto alla classe media in cravatta e in tailleur che si rovescia nelle vie del centro per la pausa del pranzo. Vagate tra i caffè vegetariani, i bar con cameriere in guepiere e i ristoranti con asado e show incluso. Curiosate tra il Mercado Central di pesce e frutta e i mercatini artigianali ai piedi del Cerro Santa Lucia e del monastero di Los Dominicos. Accostatevi alle civiltà dell'America centromeridionale attraverso le collezioni del Museo Precolombino. E perdetevi tra le stanze della Chascona, la casa di Pablo Neruda alle pendici del Cerro San Cristobal. Una delle tre case dove visse il poeta in Cile, trasformate in musei aperti al pubblico, piene di reperti e ricordi della sua esistenza di giramondo sensibile. Le altre due vi condurranno sulla costa, di fronte all'oceano. La Sebastiana, a Valparaiso, la città delle quarantuno colline e delle funicolari che la collegano al vecchio porto. E, un centinaio di chilometri più a sud, la casa-labirinto a forma d'imbarcazione di Isla Negra. L'ultima e la più amata, zeppa di libri, conchiglie e polene. Nel cui giardino Neruda È sepolto, accanto alla compagna Matilde Urrutia, "sopra il mare fiorito". L'itinerar¡o tra le case di Neruda è uno dei tanti possibili nel Cile degli scrittori. Terra di premi Nobel non solo Neruda insignito nel 1971, ma anche la poetessa Gabriela Mistral, premiata nel 1945. E di romanzieri contemporanei di enorme successo, come Isabel Allende, per esempio, grande narratrice di saghe familiari tra realismo e magia. E Luis Sepulveda, l'ultimo fenomeno, cantore appassionato della natura e dell'umanità del "mondo alla fine del mondo". Il suo nome È legato soprattutto alla Patagonia, ma nei suoi libri ha raccontato anche l'anima rarefatta e spaziosa dell'altro Cile, altrattanto remoto ma meno conosciuto: il Norte Grande degli altipiani, del deserto e dei minatori. Del nord, l'Atacama, il deserto più ando del mondo (m certe zone non piove dai tempi della colonizzazione spagnola, quattro secoli fa), occupa la gran parte. Le sue dimensioni gigantesche racchiudono ricchezze sotterranee che costituiscono le fondamenta dell'economia cilena (il rame incide per il 40 per cento sulle esportazioni del Paese). Per fervi un'idea di questo mondo minerale, entrate nella dantesca Chuquicamata, la miniera di rame a cielo aperto più grande del mondo, 1.000 ettari di estensione e 700 metri di profondità, dove ci si sposta su camion ciclopici con ruote dal diametro di quattro metri. E attraversate i villaggi fantasmi dei minatori, abbandonati dopo la fine dell'epoca d'oro dei giacimenti di nitrato di sodio, il cosiddetto salnitro (Humberstone È quello meglio conservato). Poi, fermatevi nella piccola oasi del viaggio di San Pedro de Atacama. E visitate il museo antropologico, la cui maggiore attrazione è Miss Chile, una mummia di duemila anni dai capelli ancora perfettamente intrecciati. E nei dintorni, le rovine di antiche fortezze indie, pukara, e la pianura di cristalli del Salar de Atacama, il più vasto deposito salino del Cile. A mezz'ora di distanza c'è la Valle della Luna: andateci al tramonto e aspettate che la luna arrivi in cielo a illuminarne le dune e i canyon. Partite di notte, invece, per raggiungere dopo quattro ore di fuoristrada i geyser a 4.300 metri di altitudine di EI Tatio, getti d'acqua calda a 85 gradi di dieci metri d'altezza, visibili solo all'alba. A queste quote attenzione al mal di montagna, il puna, da prevenire camminando lentamente e bevendo una tisana con foghe di coca, antico rimedio locale. Prima di lasciare la luce intensa del nord, spostatevi oltre sull'Altiplano al confine con la Bolivia per apprezzare il paesaggio di acqua e fuoco del Lago Chungarà, uno dei più alti del mondo, 4.570 metri, su cui si specchiano due vulcani gemelli perennemente ammantati di neve. E poi sulla costa, per scoprire le grandi spiagge di sabbia bianca dove si può fare il bagno tutto l'anno grazie al clima costantemente dolce del Norte Grande. Scendendo verso sud si attraversa la regione semiarida del Norte Chico e poi la fertile Valle Centrale, il cuore agricolo e industriale del Cile, che a seconda della latitudine ospita pascoli, boschi, campi di grano, frutteti e vigneti. E si giunge alla Regione dei Laghi, incorniciata da coni vulcanici innevati, molti dei quali ancora attivi, e punteggiata da chalet in stile bavarese che fanno pensare di essere in Germmania. E invece siamo nella terra dei Mapuche, gli ultimi indios a cedere agli spagnoli, soltanto cento anni fa, dopo una fiera lotta secolare. Qui il paesaggio comincia a esser disegnato più dall'acqua che dalla terra e si frantuma in una cascata di isole, fiordi, canali, promotori. Giù, giù, fino all'estrema punta meridionale del Cile e dell'America, Capo Horn, alla confluenza burrascosa dei due oceani di fronte all'Antartide. Puerto Montt, capoluogo della regione, È la base per raggiungere diverse destinazioni. Oltre ai laghi, le lagune e le isole. Come la magica Chilo‚. L'isoIa delle case di legno colorate con i tetti di lamiera ondulata, delle palafitte a schiera in riva al mare a cui ancorare le barche durante l'alta marea; delle capillas, 150 chiese lignee costruite dai gesuiti durante il XVIII secolo (di cui una decina dichiarate monumento nazionale); e delle foreste che l'hanno battezzata l'Irlanda del Cile. A Castro, il villaggio principale, girate a piedi, e fermatevi ad ammirare San Francisco, un'insolita cattedrale color salmone e viola, e la vecchia locomotiva tedesca del treno che, fino al maremoto del 1960, univa la città all'altro centro dell'isola, Ancud. Si racconta che la differenza fra i posti di prima e terza classe consistesse nel fatto che, in caso di difficoltà nel superare i lievi pendii della linea, il capotreno potesse chiedere ai viaggiatori di terza di scendere per spingere i vagoni. Racconti, credenze, leggende. Chiloé ne è piena; spesso con la rassicurante funzione sociale di dare un senso a eventi nefasti per la comunità. Come il Trauco, creatura deforme che si aggira nella foresta e seduce le giovani donne con la forza dello sguardo o la Caleuche, nave fantasma che attira i pescatori nell'ignoto del mare. Tornando sulla terraferma, il viaggio prosegue verso l'estremo sud australe, raggiungibile, oltre che in poche ore d'aereo, anche in auto o bus con un lungo viaggio via terra. Tra Santiago e Punta Arenas, la capitale della regione di Magallanes, sulla riva settentrionale dello stretto omonimo, vi sono infatti più di tremila chilometri di strada, compresa la deviazione in Argentina per aggirare gli immensi campos de hielo patagonici (prova evidente di chi, tra uomo e natura, detiene il primato a queste latitudini). Una volta arrivati, rilassatevi. La Patagonia e la Terra del Fuoco appartengono alla categoria dei paesaggi dell'anima, spazi che "permettono di guardarsi dentro e capirsi meglio" suggerisce Sepulveda. Montagne granitiche e ghiacciai secolari; un sistema intricatissimo di isole, canali e coste; distese pianeggianti e foreste millenarie intervallate da fiumi cristalli" e lagune colorate, regno di gauchos, pecore e guanachi, parenti meno nobili del lama. Quattrocento chilometri di asfalto e terra battuta separano Punta Arenas dal più spettacolare tra i parchi cileni se non dell'intera America Latina, il Torres del Paine, nel cuore della provincia dell'Ultima Speranza. Universo di vallate, laghi, picchi, cascate, iceberg, puma e nandù, gli struzzi delle Ande. Riserva della biosfera ed eldorado per ecoturisti, da esplorare a piedi (da non perdere la passeggiata fino al fronte del ghiacciaio Grey), a cavallo, in mountain bike o fuoristrada. Sul cammino, vicino Puerto Natales, non mancate di fare una piccola deviazione per la grotta del Milodon, enorme bradipo terrestre che si estinse alla fine del Pleistocene, con riproduzione a grandezza naturale (in plastica) dello spaventoso mammifero. E non dimenticate di visitare una delle smisurate estancias, le fattorie del luogo, che hanno a volte la dimensione di piccoli stati, con le staccionate bianche che si perdono all'orizzonte. Infine, prima di lasciare il limite del mondo, ricordatevi di guardare il cielo. Di notte, magari con l'ausilio di una carta ad hoc (se ne trovano nelle librerie di Punta Arenas). Lo spettacolo delle stelle dell'emisfero australe aumenterà la consapevolezza e il gusto di stare dall'altra parte - alla fine - del mondo.


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Con Butch Cassidy nella terra dei fuorilegge

di Antonio Politano

Il fascino della Patagonia? Natura maestosa, paesaggi potenti e remoti, certo; ma anche l'epopea tragica e curiosa dei tanti che vennero alla fine del mondo per dare inizio a una nuova vita. Marinai, allevatori cercatori d'oro, anarchici, missionari,conquistadores, esploratori, avventurieri. Come l'avvocato francese, Orelie-Antoine de Tounens, che volle diventare re e per una serie di coincidenze favorevoli riusci a farsi proclamare sovrano dei Mapuche in appena tre giorni (a Parigi c'è ancora un suo discendente, con relativa corte, pretendente al Regno di Araucania). Come i fuorilegge romantici Butch Cassidy e Billy the Kid, in fuga sempre più a sud dagli sceriffi del lontano West Come il giovane naturalista Charles Darwin, in missione scientifica attorno al mondo a bordo della Beagle. Come il nobile vicentino Antonio Pigafetta, fortunato cronista - al seguito di Ferdinando Magellano - della scoperta del passaggio tra Atlantico e Pacifico e della prima circumnavigazione del globo. A ricordo di quella lontana impresa (1520) c'è un monumento a Magellano nella piazza centrale di Punta Arenas. Sotto la statua del navigatore portoghese riposa, scolpito nel bronzo, un indio Ona. La leggenda racconta che se si vuole far ritorno in Patagonia gli si deve baciare o accarezzare il piede. Che, per questo, è sempre lucidissimo. È l'unico paragone rimasto. I massacri, le deportazioni, le assimilazioni brutali, hanno azzerato in poco più di quattro secoli gli abitanti originari. Oggi trovare qualche superstite di quelle popolazioni somiglia a un concorso a premi, con in prima fila storici e antropologi e poi, sparsi, i turisti. L'ultima indigena, pura, sembra sia scomparsa qualche mese fa. Se avete tempo, fate un salto al cimitero locale. Sulle lapidi e nelle cappelle c'è narrato un pezzo di storia di questa landa; la cronaca indiretta degli arrivi, delle vite e delle morti dei tanti spagnoli, inglesi, tedeschi, croati, italiani, progenitori della nuova, vincente, razza di patagoni.


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